Alla onesta imparziale ricostruzione
che Ivaldo Giaquinto ha scritto per "Volontà", desideriamo
aggiungere qualche nota a seguito di quanto s'è detto nella ricorrenza
del cinquantenario di quel triste episodio. Soprattutto desideriamo evidenziare
gli sforzi che qualcuno, come lo scrittore Paolo Volponi, fa ancora nel
tentativo di giustificare l'attentato di via Rasella per levarsi dallo
stomaco il peso di tanti morti innocenti. Scrive ("Corriere della
sera" del 25 marzo 1994) Volponi: “L'agguato di via Rasella è
stato quindi un vero e proprio atto di guerra, coraggioso e ben condotto",
concludendo "Nessun soldato ha mai dovuto provare la necessità
di espiare per le morti seminate in battaglia": ma quale microscopica
mistificazione, quale vera presa in giro è mai questa. Soldato è
quello in divisa, è quello che si riconosce e in battaglia si trova
di fronte a un soldato nemico a sua volta in divisa, e i due sono uno contro
l'altro, cioè tu cerchi di prevalere su di me ed io cerco di fare
altrettanto su di te.
L'assassino invece è
in abiti borghesi e ti ammazza perché tu non sai che è un
assassino, altro che "morti seminate in battaglia"! Del resto,
sullo stesso quotidiano milanese (23 marzo 1994), Sergio Quinzio è
stato in proposito molto chiaro: "Se i tedeschi infierirono - scrive
- con una rappresaglia al di là dei limiti imposti dalla legge di
guerra, gli attentatori, facendo saltare un reparto di soldati tedeschi
non impegnati in combattimento, compiendo cioè un'azione più
dimostrativa che di reale portata militare e sapendo bene la sproporzione
che avrebbe avuto la rappresaglia, avrebbe dovuto, se proprio avessero
deciso in quel modo, uscire allo scoperto e pagare il prezzo della loro
azione con la loro vita". Coraggiosamente, invece, gli attentatori
fuggirono subito e si tennero ben nascosti, lasciando che i tedeschi uccidessero
- come era stato previsto in precedenza in casi del genere - centinaia
di innocenti, ma non come scrive "Sette" del 24 marzo 1994 perché
"colpevoli soltanto di essere italiani" bensì vittime
inconsapevoli degli attentatori come lo erano stati, senza possibilità
di difendersi, i 35 altoatesini del reparto tedesco obbiettivo degli attentatori.
Le centinaia di morti, altoatesini
compresi, dovrebbero pesare sulla coscienza soprattutto del principale
protagonista dell’episodio, invece Rosario Bentivegna - per questa...gloriosa
azione addirittura decorato di medaglia d 'argento - oggi docente di medicina
del lavoro non esita a dichiarare che rifarebbe tutto.
Adesso il quotidiano di lingua
tedesca "Dolomiten" parlando di via Rasella scrive di "un'azione
insensata sul piano politico e su quello militare... e come ogni altro
atto di viltà, essa rappresenta tutt'altro che un attestato di gloria
per la Resistenza italiana". E "L'Osservatore romano", a
sua volta, condannando l'azione già cinquant'anni fa scriveva essersi
trattato di "una manovra politicamente e militarmente insensata...e
di una diretta sfida a Pio Xll". Nel giugno del 1980 Marco Pannella
si chiedeva pubblicamente se i morti di via Rasella fossero da attribuire
alla necessità della guerra partigiana o non piuttosto al tornaconto
del partito comunista. Pannella in quell'occasione si chiedeva testualmente:
"Quale fu la verità di via Rasella? È vero che gran
parte dei quadri antifascisti e anche comunisti non direttamente organizzati
dal PCI, che lo stesso comando ufficiale della Resistenza romana erano
contrari all'ipotesi dell'azione terroristica e furono contrari ai comportamenti
successivi dei dirigenti del PCI? Come mai l'argomento è rimasto
tabù anche per gli storici democratici?".
È l'eroico (?) Bentivegna,
cercando di giustificare la sua viltà nel libro da lui scritto "Achtung
Banditen! Roma 1944" ha affermato "era nostro dovere non presentarci
a un bando del nemico che ci avesse offerto la vita degli ostaggi in cambio
della nostra", quanto dire "meglio che muoiano loro che noi".
Meno disonesto Amendola che
"non riusciva a liberarsi dalla sensazione di una responsabilità
personale" perché, ricordando l'episodio recentemente ha scritto
Silvio Bertoldi, "lo avevano deciso i comunisti del CLN, con l'assenso
del loro leader Giorgio Amendola ".
VOLONTA’ N. 4. Aprile 1994 (Indirizzo
e telefono: vedi PERIODICI)
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